014# – Perché Credere in Dio è Diventato da Sfigati

E’ tutta una questione di Marketing.

E’ impossibile trovare dati attendibili su quante persone al mondo siano credenti, ma facendo una media tra varie realtà affidabili possiamo dire che 3 persone su 4 credono in qualcosa di superiore.

La stima può decrescere se al posto di “qualcosa di superiore” metti DIO. Che ci sia qualcosa nel termine sopracitato e in tutto quello che significa a spaventare la massa?

Se poi si parla di partecipazione attiva all’attività di una religione la cifra scende ulteriormente.

Secondo alcune statistiche esistono più di 4.800 religioni al mondo, quindi la scelta non manca.

E’ possibile che l’un miliardo di atei si sia semplicemente stancato della gestione religiosa del divino? Che il problema stia negli obblighi che religioni professano come parte integrante dell’accettazione del divino nella propria esistenza?

Se si accetta la Bibbia come Fonte attendibile, Dio in effetti ha un caratteraccio. Anche con Ebraismo e Islam la situazione non migliora molto. Alla fine chi te lo fa fare di stare dietro ad un padre assenteista e crudele, quando puoi andartene fuori casa e, semplicemente, fottertene del sopracitato padre?

Nella gestione classica del divino erano i miracoli a dimostrare tangibilmente la presenza di Dio. Però, tornando alla metafora del padre di cui sopra, non è sufficiente che il sopracitato assenteista e crudele, di tanto in tanto, faccia un regalo per farsi apprezzare. 

Troppo poco e troppo tardi, verrebbe da pensare.

Che il problema stia dunque in DIO?

Per molti Atei la questione è “Non abbiamo bisogno di Dio” probabilmente, però, Dio ha bisogno di voi.

Proviamo a pensarla diversamente, usando termini semplici e parallelismi azzardati.

Contrapponiamo l’idea di illimitato (come sembra essere l’universo, di cui abbiamo una percezione tangibile seppur astratta) all’idea di limite (di cui abbiamo esperienza ogni giorno, ad esempio attraverso il nostro corpo).

L’essere umano (seppur limitato) è in grado di concepire l’universo (teoricamente illimitato), sebbene non sia in grado di figurarselo in nessun modo.

Possiede al proprio interno un frammento dell’universo, dato da fantasia, creatività, ingegno, intelligenza.

Scopre alcune caratteristiche dell’illimitato (ad esempio l’accelerazione dell’espansione) e ne apprezza alcune regole (la velocità della luce nel vuoto, ad esempio). L’essere limitato è convinto di poter comprendere ogni anfratto dell’universo con l’aumento della propria conoscenza e tecnologia. 

Arrivati a questo punto qualcuno si domanda “Perché stiamo studiando l’illimitato? In fin dei conti, che ‘cce frega? Cosa fa l’universo per noi?”

E’ un po’ quello che si dice dell’astronomia: perché spendere milioni, miliardi di dollari per mandare sonde in giro per il sistema solare quando c’è gente che muore di fame sulla terra? Ancora meglio: perché mandare l’uomo sulla luna quando non abbiamo ancora una cura per il cancro?

Una risposta razionale sarebbe che per ogni dollaro speso per mandare l’uomo sulla luna di indotto ne sono stati ricavati 3. Una risposta meno razionale ma più sincera sarebbe che l’essere umano è curioso. Che l’astronomia è una scienza volta a far riscoprire l’umiltà, mettendo a confronto l’infinitamente piccolo (l’essere umano) con l’infinitamente grande (l’universo) e che questo faccia estremamente bene all’essere umano.

Un’altra risposta, completamente irrazionale e non basata su alcun dato scientifico, si basa su una personalissima elaborazione del Principio Antropico Ultimo : l’universo, l’infinito, esiste per essere compreso. L’essere umano è lo strumento attraverso il quale l’universo prende coscienza di sé, facendo esperienza del limite – altro da sé.

L’infinito vuole superare sé stesso per perfezionarsi, per questo necessita dell’essere umano.

Fantasioso, me ne rendo conto. Ma la speculazione è anche questo.

La fede è un atto acritico di accettazione del divino, secondo Lorenzo Bartoli. L’aggettivo Acritico ha fatto una quantità non indifferente di danni. Del divino non ne parliamo. Ma se la Fede non fosse altro che uno strumento di comunicazione con l’illimitato?

Facciamo un passaggio forzato di prospettiva e al posto di Universo mettiamo il termine DIO, al quale si riconoscono gli attributi di infinitezza ed eternità.

In questa prospettiva l’essere umano sarebbe centrale nell’universo e la divinità sarebbe qualcosa di impossibile da ignorare, in quanto parte fondamentale di sé.

La nostra curiosità, la nostra vita, la nostra esistenza fatta di infinite tristezze e disperazioni sarebbe parte di un processo di autodeterminazione del Divino. Dio, in quest’ottica, diventerebbe un adolescente che sballottato dagli ormoni (metaforicamente l’umanità) cerca di crescere sempre più.

E’ una prospettiva, non è detto che funzioni così. Però non è meglio sentirsi parte di qualcosa di immenso rispetto a sentirsi soli ed abbandonati in questo freddo universo?

Per molti la fede è un dono. Personalmente credo che sia una scelta.

Fino a che non va a fare danni al prossimo, perché non vedersi come parte di un qualcosa di grande?

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